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Tošo Dabac Diario istriano 18. V. - 18. VI. 2008. |
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Nell'occasione del centenario della nascita di Tošo Dabac, l'anno 2007 ha visto l'organizzazione di numerosi eventi quali mostre, conferenze e la realizzazione di nuovi servizi documentari sulla vita e l'opera del grande fotografo. Nel corso di una ricerca in loco ci è stato fatto notare che tra il suo ricco lascito, interamente preservato nell'odierno Archivio TD di Zagabria e suo ex studio di via Ilica 17, sono stati ritrovati 36 fogli con titoli come "Descrizione negativi Istria", "Pellicole Centax", "Dati negativi 'Istria' " e "Foto mostra Parigi". Il primo foglio reca il timbro con dicitura "Foto di Tošo Dabac, Zagabria, Ilica 17 - tel. (?), Tutti i diritti riservati"; i numeri dei negativi sono accompagnati da una descrizione fitta ma concisa e dalla data, il tutto dal 28 febbraio al 13 aprile 1946. I cenni biografici per quell'anno riportano che Tošo Dabac aveva trascorso un mese in Istria a fare foto e tenere "un interessante diario che illustra anche meglio delle foto stesse la sia sola e del tempo". La preziosità di questi dati, unita al fatto che al tempo fosse stata realizzata una sola personale istriana dell'autore (precisamente nel 1953 alla Casa del Giovane di Pola), ci ha spronato e incoraggiato a seguire la pista tracciata dal "diario" di Dabac ed allestire per l'occasione una mostra al Museo di Cittanova con relativo catalogo. Ovvio che da parte nostra, conoscendo la natura "frontaliera" della nostra cittadina sulla foce del Quieto, sperassimo di trovare qualche foto di Cittanova datata 1946. Nonostante a tutt'oggi non ne sia stata recuperata alcuna (e d'altra parte dalle parole di Dabac non si deduca che ci avesse mai soggiornato), il nostro entusiasmo iniziale legato a questo "diario istriano" non è venuto meno. Anzi, oltre alle "Madri istriane" e alle "Tombe dei compagni caduti" che già conoscevamo, e la monografia oggi non più disponibile "Istria, passato e presente" del 1969, la qualità delle foto recuperate ha rinfocolato il nostro spirito di scoperta. Dato che i "taccuini istriani" di Dabac risultano quasi del tutto inediti e sono preziosi in quanto fonte materiale in grado di parlarci non solo di un'epoca e un luogo particolari ma anche della personale cultura e visione del mondo del loro autore, si è deciso di pubblicarli nella loro forma originale. Nel contesto dell'uso indiscriminato del computer che si fa oggi e che ci ha portato alla quasi completa perdita delle nostre grafie, i fogli sottili ed ingialliti di Dabac, battuti a macchina con aggiunta qualche annotazione a mano, testimoniano, al pari delle sue foto, di un'epoca andata. Da qui l'auspicio che questi 36 fogli vengano trasferiti su altri supporti di archiviazione senza modifiche sostanziali e in tal modo li si conservi non solo a fini d'archivio ma per le generazioni a venire. Questo "Diario istriano", come è stato da noi soprannominato per l'occasione della mostra di Cittanova, non è certamente un testo letterario, ma contrassegnato da una notevole fruibilità che lo renderebbe senza dubbio felice oggetto di studi culturali in senso lato. In quest'occasione crediamo che molti vi ritroveranno nomi e cognomi noti (oltre magari al proprio) ed informazioni interessanti su epoca e provenienza di queste persone. Purtroppo, del centinaio di negativi descritti nel diario di Dabac nell'Archivio TD ne abbiamo rinvenuti soltanto una decina. Già Pero Dabac ha scritto di come le foto fossero disperse in centinaia di volumi scientifici ed artistici "brillando e spegnendosi in numerose fiere promozionali e mostre senza catalogo. La fotografia, che era sempre stata 'al servizio di qualcosa', per certi versi è sempre stata oggetto di abuso". Così anche le foto citate nel "diario" erano "al servizio di qualcosa". Non poteva essere altrimenti, dato che gli scatti che Dabac aveva effettuato in Istria avevano uno scopo preciso: quello di rendere palese l'identità croata della regione. Detto questo, la scelta di mandare Dabac in giro per l'Istria non era casuale: c'era bisogno del miglior fotografo sulla piazza.
Per meglio comprendere la "missione" di Dabac in terra istriana si rende necessario ripassare brevemente gli eventi storici relativi agli anni quaranta del secolo scorso. Alla fine della seconda guerra mondiale l'Europa "pacifista" doveva confrontarsi con numerosi problemi e difficoltà. Uno dei temi caldi era la delimitazione del confine tra gli stati di Jugoslavia e Italia. La zona contesa comprendeva la regione giuliana in senso lato, che includeva a sua volta l'Istria. Entrambe le parti non mancavano di giustificazioni per l'annessione delle zone contese ai propri territori statali, ma il ruolo decisivo in merito alla questione dei confini lo ricoprì la diplomazia angloamericana, che esercitava pressioni di tipo diplomatico e militare. Un esempio tutt'ora attuale è l'irrisolta questione terminologica se l'esercito partigiano jugoslavo avesse "liberato" o "occupato" Trieste in quell'inizio maggio del 1945. Per fare un esempio, il governo americano nell'Intelligence Review del 14 febbraio 1946 scrive di una Trieste "occupata", mentre la parte jugoslava usa il termine "liberata". La questione triestina acuiva i contrasti già in atto tra Tito e gli alleati. Nonostante ad inizio maggio 1945 le unità partigiane jugoslave, in seguito all'azione fiumano-triestina, avessero liberato Istria, Trieste e Litorale sloveno dalle forze militari tedesche, un mese dopo a Belgrado i governi di USA , Gran Bretagna e Jugoslavia firmarono un accordo per l'istituzione di un governo militare provvisorio nei territori giuliani, accordo che peraltro non risolse la questione dell'appartenenza dei singoli territori. In base all'accordo, l'armata jugoslava avrebbe dovuto ritirarsi da Trieste e Pola, mentre il territorio conteso fu diviso dalla "linea Morgan" in due zone: zona "A" (Trieste e comuni limitrofi, Pola e circondario) governata dall'amministrazione alleata angloamericana e zona "B" (l'Istria tutta senza Pola e Trieste) governata dall'amministrazione militare jugoslava. La situazione creatasi sarebbe dovuta durare fino a una decisione finale da prendersi in occasione della Conferenza di Pace a Parigi, per la quale fervevano i preparativi. Tuttavia tale soluzione temporanea scontentava entrambe le parti ed era perciò palese che i conflitti potevano risolversi solo con un arbitraggio internazionale. Ecco che quindi a Londra, all'inizio del 1946, il Consiglio dei Ministri degli Esteri elaborò una bozza di lavoro di una commissione che avrebbe visitato la regione giuliana e studiato in loco le questioni etniche, sulle quali avrebbe poi fatto rapporto in una relazione, in base alla quale si sarebbe poi deciso sui rapporti confinari. La "Commissione interalleata per la Regione Giulia" (altrimenti detta "Commissione tecnica internazionale per la delimitazione del confine tra Jugoslavia ed Italia"), formata dalle delegazioni di Francia, Gran Bretagna, USA e URSS per un totale di 37 diplomatici e tecnici, giunse a Trieste tra il 7 e il 10 marzo del 1946. La delegazione più numerosa era quella russa che contava 13 membri; a seguire la Commissione furono numerosi giornalisti e fotoreporter.
Tra questi ultimi c'era anche Tošo Dabac, che li raggiunse il 14 marzo col suo arrivo a "Sečovlje (Sičovlje/Sicciole)". Incaricato dal governo jugoslavo a seguire l'itinerario della Commissione, veniamo a sapere dalle informazioni raccolte nel "diario" che era giunto in Istria arrivando da Fiume, dove aveva trascorso due settimane a fotografare città e circondario, in particolare il cantiere, la fabbrica Torpedo e a fare "un servizio sul battaglione Pino Budicin (un sacco di italiani)". Partita la Commissione ad inizio aprile, Dabac riparte fermandosi ad Abbazia e proseguendo per Fianona, Albona, Arsia, Dignano, le isole Brioni, Rovigno, Parenzo, Buie e Pinguente per infine, passando per Bergozzo, raggiungere Fiume in data 11 aprile. L'ultimo scatto, intitolato "Nel parco di Abbazia", reca data 13 aprile 1946. Secondo le nostre stime, in quei 44 giorni del 1946 Tošo Dabac ha percorso in auto tanti chilometri quante sono le foto dell'Istria "croata" che figurano nel diario. Tra di esse si distinguono i ritratti intergenerazionali di persone impegnate sul fronte partigiano o con perdite in famiglia, scene di villaggi e paesini con dettagli di quotidianità da cui trasparivano i postumi dei drammatici bombardamenti; il paesino di Dane, scrive Dabac, "con 61 case, e solo due risparmiate dalle fiamme". Descrive inoltre i negativi raffiguranti monumenti e documenti storici: così nei pressi di Salvore gli capita di immortalare un registro dell'anagrafe del 1729 "con tutti nomi croati, scritto in italiano", a Pisino un registro comunale di leva del periodo "1880-1900 con i nomi cambiati. Nomi caratteristici come Marušić, Marussich, Marrussi", a Barbana un'iscrizione in glagolitico "nella casa di Petar Stanković", mentre la chiesa di Arsia per lui rappresenta "un esempio tipico di pessima architettura moderna italiana". Scorrendo il "diario" di Dabac, non lo si può certo tacciare di imparzialità. L'approccio di Dabac è comunque comprensibile, considerando che la Commissione avrebbe dovuto indagare lo stato reale dei rapporti etnici e che di conseguenza era nell'interesse della parte jugoslava fornire a Parigi quanto più materiale visivo che testimoniasse l'identità croata dell'Istria. Del resto, è risaputo che egli fosse legato esclusivamente all'area jugoslava (e di conseguenza, croata) ed è logico che questo sentimento pervadesse tutta la sua opera; un'affezione per l'immaginario visivo dei luoghi catturati dall'obiettivo; in fondo, atemporali. Perché le foto di Dabac, come ricordato da Želimir Košćević, hanno un che di universale per l'umanità che sprigionano. E così anche la "serie istriana" del 1946. Sono, queste, foto di valore non solo documentario, ma che riflettono tutta la perizia dell'autore. Purtroppo, come si è già detto, quelle giunte a noi sono poche. Pertanto ai fini della mostra abbiamo selezionato una sessantina di immagini dall'archivio dell'autore riconducibili per soggetto e periodo di realizzazione al "diario istriano". Di queste, 17 corrispondono ai numeri riportati nel "diario", e così pure i titoli. Ci sono anche alcune foto di Pola del 1948, periodo in cui ritorna in Istria per una sessione sui monumenti commissionata congiuntamente dall'Ufficio del Turismo e dal Ministero dell'Istruzione; 11 scatti delle isole Brioni realizzati in epoca successiva, probabilmente nel corso del soggiorno polese del 1953, mentre dai dettagli caratteristici non apprendiamo con certezza se gli stessi appartengano al periodo della stesura del "diario" o risalgano al 1951, anno del suo servizio sul Festival folkloristico di Abbazia. In tutto si tratta di 34 foto digitalizzate, ulteriormente selezionate ai fini di questo catalogo. Nell'Archivio TD figura anche la foto originale di un "Antico focolare istriano" del 1946, una copia (o una, più tarda, fotocopia) della quale si trova nel Museo Regionale Parentino. A causa del suo deterioramento non è stato possibile esporre la foto insieme alle altre, né si è riusciti a recuperarne il negativo, tuttavia la natura del suo formato ha determinato le dimensioni finali delle foto digitalizzate. Ciò ha voluto essere un semplice gesto di stima da parte nostra per un'artista di valore, cui la città di Zagabria, e la fotografia storico-artistica tutta, deve molto per la sua "irripetibile opera". Per Koščević, il messaggio di Dabac è semplice: un'etica del vivere che traspare chiara nella sua dimensione estetica. Paradossale? Ai visitatori la risposta; il ruolo di Tošo Dabac, questo gentiluomo della fotografia, è peraltro ormai riconosciuto alla luce degli eventi storici.
Quale, invece, il ruolo della storia istriana? Ritorniamo per un attimo a quel 1946. La campagna fotografica di Dabac faceva parte di un progetto capillare di propaganda del governo jugoslavo del tempo; il materiale di lavoro venne stampato a Zagabria in lingua inglese, francese e russa. Le "Maps Relating to the Ethnical Structure of the Julian March", l'"Index Patronymique", il censimento realizzato per l'occasione nel 1945 ed intitolato "Cadastre national de l'Istrie" per le stampe dell'Istituto Adriatico di Sussacco, sono alcuni dei titoli tra i 10 chili di incartamenti consegnati alle delegazioni della Commissione e ai numerosi giornalisti, ed inviati a varie personalità di spicco in giro per l'Europa. Perseguendo l'obiettivo di annettere l'Istria alla Jugoslavia, la popolazione locale era ben preparata per l'arrivo della Commissione: agli accessi a villaggi e città visitati, la gente manifestava a favore del ricongiungimento con la Jugoslavia; personaggi in vista ricevevano istruzioni su cosa e come dire in loro presenza; anche le scritte sui muri venivano realizzate in maniera organizzata. Il 19 marzo 1946, il corrispondente del New York Herald Tribune scrive: "La popolazione della Regione Giulia è unanime nel proprio desiderio di annessione alla Jugoslavia". Così nella zona "B"; ai croati e ai sloveni della zona "A" si vietava invece di manifestare. I rappresentanti italiani presentavano intanto alla Commissione i dati demografici relativi al periodo fascista, con la Commissione stessa che ignorava la presenza croata e slovena nei territori della Regione.
Al ritorno dalla missione in loco, la Commissione interalleata aveva il compito di redigere una relazione sul lavoro svolto. Tuttavia, al posto di una relazione unica, ciascuna delegazione ne elaborò una propria, così sul tavolo del Consiglio dei Ministri degli Esteri giunsero quattro proposte di delimitazione distinte, da discutere in occasione dell'imminente terza assemblea, che si sarebbe svolta a Parigi dal 25 aprile al 16 maggio. Nonostante le attività di lobbying diplomatico messe in campo, nessuna delle proposte risultò in quella circostanza convincente. Una soluzione la si trovò in occasione della quarta assemblea, quando fu approvata la cosiddetta “linea francese” secondo la quale la zona di Duino, Val Canale, Gorizia e Monfalcone passò all'Italia, mentre da San Giovanni a Trieste e fino al Quieto fu creato il Territorio Libero di Trieste (TLT) suddiviso in zona "A" (Trieste e circondario), la quale rimase sotto amministrazione anglo-americana, e zona "B", ovvero le aree del capodistriano e del buiese, sotto amministrazione jugoslava. Il territorio ad est della "linea francese", ossia la parte d'Istria rimanente, passò alla Jugoslavia. Tuttavia si procrastinò anche in questo caso: l'intesa fu firmata il 28 settembre 1946, l'Accordo di Pace tra Italia e Jugoslavia il 10 febbraio 1947, le disposizioni del Memorandum d'Intesa sul Territorio Libero di Trieste entrarono in vigore il 15 settembre 1947, il giorno successivo fu la volta della Carta d'intenti sull'ampliamento delle competenze in materia di Costituzione, leggi ed altri regolamenti della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia la cui applicazione andò ad interessare le zone annesse in base all'Accordo di Pace stesso. L'assetto del TLT comprensivo di zone "A" e "B", nei cui confronti si perseguiva dapprima una politica di annessione silenziosa seguita da una di equidistanza in relazione agli interessi geopolitici alleati nell'Europa sudorientale, fu completato solo sette anni più tardi. Le amministrazioni militari angloamericana e jugoslava esercitarono le rispettive competenze fino al nuovo assetto statale e giuridico creatosi nel 1954 con la firma, il 5 ottobre, del Memorandum di Londra; il problema dei rapporti di confine tra Italia e Jugoslavia (relativi alle località che sarebbero passate alla Slovenia) fu risolto soltanto con l'Accordo di Osimo del 1977, di fatto ponendo fine a una situazione grottesca di conflittualità latenti che mettevano a repentaglio la convivenza pacifica e i rapporti di buon vicinato tra i due paesi.
Jerica Ziherl
Dell'unica mostra, e fu una mostra personale, di Tošo Dabac, che si tenne in Istria nel lontano1953, nel suo l'Archivio si conserva solo il brandello di un manifesto stracciato. Non sappiamo nulla delle dimensioni di questa mostra, non disponiamo di un elenco delle opere che vi furono esposte. Ma anche in altre occasioni, la noncuranza dell'autore quando si trattava di documentare il proprio lavoro, per noi dell'Archivio che studiamo la sua opera, spesso si è rivelata rovinosa.
Tuttavia, i numerosi negativi con motivi istriani, l'importante Diario istriano del 1946, la monografia Istria, in parte illustrata dalle fotografie di Dabac, stanno a testimioniare che l'Istria ha rappresentato un capitolo speciale e importante della sua attività di fotografo.
La scelta delle fotografie qui esposte, rappresenta una specie di potpourri, una panoramica ricavata dal ricco materiale fotografico sull'Istria che Dabac ci ha lasciato. Nonostante in tutte le opere emerga con chiarezza la particolare poetica dell'autore, si può tentare una suddivisione ulteriore, in lavori tra loro maggiormente affini.
Si tratta di fotografie che, sebbene scattate all'aperto, negli ambienti cittadini o in campagna, sono avvolte in un'atmosfera di seclusione. La piazza cittadina e la via di Buie attraversata da una figura femminile a cavalcioni sulla groppa di un asino, due scene di Valle, la cottura del pane a Lisignana, la casa con l'arco ovale a Fianona, l'arco dei Sergi a Pola, scene la cui composizione ne accentua gli elementi architettonici - le diagonali delle strade o le verticali delle case, sospingendo la figura umana sullo sfondo - sembrano trasportarci nell'interno di un teatro. Le architetture di queste visioni fotografiche ricordano le scenografie teatrali, evocano le quinte di una scena importante e circoscritta, conferendo a questi piccoli frammenti della vita quotidiana dell'Istria di un tempo una nuova e autonoma dignità di vicende esemplari della vita.
Negli "esterni istriani", le visioni plein air di Buie, Albona, Fianona, i motivi di affine pertinenza toponimica, emanano un'atmosfera diversa. Sul piano formale si rileva che le immagini sono state scattate in un'ampia orizzontale e l'obiettivo è stato posto a una distanza maggiore, spesso riversando nell'immagine grandi porzioni di cielo. L'impressione è quella di una coabitazione armoniosa dell'architettura col pittoresco paesaggio istriano: i corpi architettonici condividono la linea dell'orizzonte con i dinamici contorni del paesaggio, creando l'impressione di una drammatica monumentalità.
Dopo le fotografie di Dabac dall'Istria, del 1946, improntate alla tradizione, il ciclo Brioni degli anni Cinquanta ricrea l'atmosfera dell'ozio estivo, bagnato dal sole. Immagini della "riva", della spiaggia, del parco... colgono il quotidiano, il piacere della rilasatezza estiva. Dabac ha sempre saputo sentire e cogliere con il suo obiettivo l'atmosfera del tempo che si è fermato, e conferire l'universalità e l'irripetibilità dell'istante anche a scene in apparenza comuni, a persone e oggetti ignoti. Prendiamo l'esempio della Sedia a sdraio, che rappresenta la visualizzazione metaforica di associazioni plurime, oppure di decodificazioni che evocano contemporaneamente il sentimento di solitudine e di alienazione, ma anche di autosufficienza e di felicità nell'abbandono al proprio stato d'animo. Dabac ci offre una vasta gamma di sensazioni e stati d'animo. In ciò consiste la grandezza della sua arte. La sua risposta alla domanda su come sceglieva il proprio tema o motivo era laconica: "Lo noto. Ciò che mi piace, lo fotografo. Mi lascio guidare dall'istinto". Ed è affine al motto del filosofo della cultura Benedetto Croce, che definiva la fotografia come lo strumento della "conoscenza intuitiva".
Archivio Tošo Dabac
La mostra di Cittanova apre il 18 maggio, il giorno del centunesimo anniversario della nascita di Tošo Dabac, e pertanto appare appropriato ricordare gli inizi dell'attività dell'Archivio Tošo Dabac, la sua costituzione e il significato che ricopre. Nel 1940 Tošo Dabac trasferisce il proprio studio all'indirizzo Ilica 17, che negli anni Cinquanta e Sessanta fu uno dei ritovi preferiti degli artisti e intellettuali zagabresi. Era l'epoca delle prime Biennali di musica, del gruppo EXAT 51, della Fiera di Zagabria e di altre manifestazioni che hanno affermato Zagabria come uno dei punti innovativi e vitali della carta culturale d'Europa. I nuovi fermenti si fecero sentire anche nello studio di Dabac. Dopo la morte di Dabac, nel 1970, la gestione dello studio passò al suo nipote ed erede Petar Dabac, lui stesso fotografo di fama, fondatore, nel 1980, di una galleria dove venivano allestite mostre e organizzati laboratori di autori internazionalmente noti.
Durante tutto il periodo la collezione delle fotografie di Dabac era aperta a specialisti croati e stranieri di vari settori, che spesso si servivano delle foto di Dabac, riconoscendone il valore di documento storico. Nel 2006 la collezione fu acquisita dalla Città di Zagabria, che ne affidò la gestione tecnica al Museo di Arte Contemporanea. Oggi l'Archivio Tošo Dabac è una collezione artistica in situ che dispone di quasi 200 000 negativi, di circa 2000 ingrandimenti d'autore, di una collezione di strumenti fotografici di grande valore, e ospita anche una biblioteca e un'emeroteca. Rappresenta una delle collezioni fotografiche più complete a livello mondiale poiché vi si conservano tutte le opere di Dabac. Ha inoltre un grande valore documetario, offrendo numerose testimonianze sulla storia di Zagabria e delle altre regioni croate.
L'anno scorso, in onore del centenario della nascita di Tošo Dabac, nell'Archivio, per la prima volta in Croazia, si è svolta la manifestazione Giornate della fotografia: nove conferenze, dedicate non solo all'opera di Dabac, ma anche alle arti visive (fotografia, cinema, video) in generale, e quattro laboratori di fotografia: uno sulla protezione preventiva e la conservazione del materiale fotografico, tre che avevano come scopo offrire ai partecipanti la conoscenza teorica e pratica delle varie modalità ed espressioni fotografiche. L'Archivio Tošo Dabac auspica che le Giornate della fotografia diventino una manifestazione tradizionale, con programmi che confermino il valore delle sue origini storiche, rappresentandone il degno proseguimento.
Marina Benažić |
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